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Nel 2001 l'Associazione stampa un dossier con i risultati di un lavoro di inchiesta e denuncia il missino e fascista Cristiano Fioravanti come autore materiale dell'assassinio di Walter Rossi.

 

Forse non è altro che una questione di tempo e di luce. Come
nella fotografia, come nel cinema, nella memoria.

Anche i ricordi sono fatti di tempi e di luce. Un tempo plastico
che si allunga e si accorcia, si allarga e si stringe. Prima o poi
nisce col trovare un accordo col tempo della vita. Prima o poi
i ricordi si sistemano, trovano un loro ordine.

Smettono di accavallarsi, di azzuffarsi, di fare male. Anche la
luce che sul tempo li stampa, li ssa, li cuce, nisce col trovare
una sua accettabilità. Non sempre è carezzevole, può rimanere
qualche contrasto un po' troppo accentuato, qualche
sammatura, qualche punto troppo scuro, troppo impastato,
ma diventa sopportabile. Smette di ferire.

Ma ci sono ricordi più forti della stessa memoria.

Ricordi in cui il tempo finisce di colpo, si ferma per sempre. E
la luce, che trascina le immagini, non può lasciare quel tempo
nito. Ha paura di perdersi. Torna indietro, rimbalza, si
avvolge, si aggrappa a quel tempo interrotto.

Diventa diversa, più bianca, cruda come quella dei vecchi
lampi a polvere di magnesio. E diventa concreta. Nelle
immagini si puo sentire sulla pelle, diventa un vento che
spinge indietro i vestiti, i capelli.

I ricordi si fermano, si ghiacciano. E quella luce lavora ogni
grana, ogni punto e li fa diventare cocci di bottiglia.

Nella notte di tanto tempo fa i capelli rimangono tirati indietro
e mostrano una pena insopportabile.

Piega anche le ossa dei giovani che si tengono stretti. Lei lo
abbraccia e gli accarezza la nuca, lui preme forte le guance
nell’angolo che fa il braccio di lei, piange e si copre gli occhi
con la mano. Sul viale in discesa una nuvola di sangue con
grandi spalle si allunga verso il basso.

Una sciarpa si incolla lentamente sull'asfalto.

Tante facce da liceo, da media superiore, da primo anno di
università.

Facce viste sempre insieme.

Sembrava che la solitudine non esistesse. Per anni erano
arrivate le loro risa, parole, frammenti di discorsi. Gli
intervalli di scuola passati a parlare dalla rete con i reclusi del

manicomio, l 'amore, la naturalezza con cui accostavano ogni
dolore, ogni particolarità, ogni diversità. Sempre insieme.
Insieme, senza accorgersene, semplicemente vivendo,
scrivevano pagine di storia. La morte non colpisce a caso.

Ci sono ricordi che non possono ridursi a lapidi, a
procedimenti giudiziari, ad incartamenti e faldoni.

Ci sono ricordi che ci chiedono continuamente vera giustizia.
Quella che solo ognuno di noi può dare. Una giustizia fatta di
memoria che abbraccia e culla, della tenerezza e della tensione
di tutta la vita. Ricordi pesanti da portare. Ricordi che costano
cari.

Sono passati tanti anni, nell'osteria del mercato si potevano
incontrare i volti che piansero quella notte.

Arrivavano parole, espressioni, brandelli di discorsi. Qualcuno
di loro tornava da continenti lontani, qualcuno da isole
dimenticate, qualcuno dai mondi del cinema, qualcuno da
difficili imprese culturali e commerciali. Uno di loro divenne
campione nel gioco del pallone, distrusse con la sua onestà il
giocattolo ipocrita della nazione. Ne usci letteralmente con le
gambe spezzate.

Ognuno faceva i conti con la vita e la solitudine.

Tornavano sempre all'osteria del mercato e non ebbero mai
per commensali la normalità, l'abbandono il tradimento.

Tano D'Amico